Continuo in queste settimane a leggere annunci in merito all’iniziativa di Regione Liguria sul Recovery Fund e all’elenco delle opere inviati al Governo. 24,5 miliardi sui 209 messi a disposizione del nostro Paese.
Anche nelle migliori delle ipotesi, e coi migliori progetti strategici nazionali, sarebbe difficile per una regione come la nostra ambire ad un decimo delle risorse nazionali disponibili.
In questa vicenda si gioca non solo sulla quantità dei progetti, ma soprattutto sulla qualità, sul fatto che siano proposte in grado di incrociare le richieste della comunità europea: digitalizzazione, lotta alla disuguaglianze, transizione all’economia verde.
Progetti che devono essere realizzati in tempi rapidi. In queste ore ho potuto cominciare a scorrere l’elenco dei progetti e delle proposte e continua a mancare un filo e un’idea di Liguria: e manca anche una fase di partecipazione e di confronto attivo col territorio.
E c’è un po’ di confusione. Molti progetti presentati da Toti nell’elenco di quelli da finanziare con il Recovery sono oggetto di finanziamento da parte di altri fondi – a partire da i concessionari, per molte opere infrastrutturali e per altri programmi nazionali. Molti progetti hanno una scarsa possibilità di essere realizzati entro il 2026, data che la Comunità Europea individua come termine per la spesa del Recovery Plan.
Quanti di quei 24,5 miliardi richiesti sono percorsi realisticamente praticabili, e con possibilità di successo? Perché si è scelto di mettere tutto in un calderone, senza lavorare su priorità, strategie integrate – ad esempio con altre Regioni?
Ora, l’interlocuzione con il Governo per la costruzione del Piano Nazionale è ancora in corso e serve un salto di qualità: opere cantierabili, progetti verdi, percorsi di riduzione delle disuguaglianze, misure per donne e giovani, digitalizzazione giusta si possono mettere in campo nella nostra Regione, e starebbero pienamente in una strategia nazionale che premia chi innova