La sanità che vive il cittadino non è la sede del singolo reparto o l’organizzazione dell’ospedale, ma è la qualità della risposta dei singoli servizi.
E la prima domanda che forse va posta, per fare un bilancio di questi anni è: in cosa è migliorata la sanità della nostra Regione? Cosa va meglio rispetto a qualche anno fa? Quali iniziative sono state portate avanti, concretamente, dalla Regione per la gestione quotidiana dei servizi sanitari?
Non contano solo gli indicatori economici, il quadro dei bilanci – che peraltro non sono rosei – c’è la vita vera delle persone e come viene percepita l’offerta sanitaria e la sua qualità.
Tempo fa avevo scritto che in Liguria in questi anni non vi era mai stata una scelta chiara per l’equità dell’accesso alle cure, e non era stato rimosso uno degli elementi più distorsivi, cioè il superticket di 10 euro sulle prestazioni. Un superticket che a volte fa costare più le prestazioni nel pubblico rispetto al privato, che è iniquo e sbagliato nella sua impostazione e colpisce, come una tassa piatta, tutti. Ora, il nuovo ministro della Salute si è impegnato a trovare le risorse per cancellarlo, ma il punto, finora rimane. Rimane il fatto che la Liguria è una delle regioni dove la spesa per ticket e prestazione pro capite è più alta e che non c’è nessun aggiornamento delle politiche per la riduzione della cosiddetta compartecipazione della spesa sanitaria, neppure per incentivare forme di medicina preventiva e di screening, ad esempio.
A questo si aggiunga l’altro grande elemento di cui, con grande difficoltà, si cerca di monitorare il quadro: la gestione delle liste di attesa. Il sistema attuale prevede una segmentazione dei tempi a seconda del grado di urgenza delle prestazioni. Si va da pochi giorni per le urgenti, due settimane per le brevi, un mese per le differite, e fino ad UN anno per le programmate. Il rispetto formale dei tempi prevede che si debbano prenotare esami all’interno di queste scadenze: ci sono molti casi – e vi prego di segnalarli qui – in cui questo non accade, e ci si trova a dover scegliere di ricorrere, chi può, ad altre soluzioni. L’imbuto è rappresentato dalle programmate, che tecnicamente – fino a poco tempo fa – avevano un anno come termine per la prenotazione. Ma quello che accade, spesso, troppo spesso, è che l’anno non diventi il termine massimo entro cui bisogna far ricadere la prenotazione, ma la data della prenotazione stessa. Formalmente si rispettano i tempi delle liste di attesa, per quanto riguarda la sanità, ma il cittadino utente si trova a dover aspettare tempi biblici per esami. Tra alcuni mesi entrerà in vigore una nuova programmazione dei tempi e della gestione delle liste di attesa, redatte a livello nazionale a cui tutte le regioni devono adeguarsi, e per la Liguria sarà complicato, visto che anche in questo caso, le cose si muovono con un notevole ritardo. Infatti, a parte la recente riforma del Centro Unico di Prenotazione, i cui effetti sono tutti da valutare, sono mancati indirizzi e risorse per l’abbattimento delle liste di attesa in questi anni, nonostante proposte in tal senso siano venute da più parti.
Poi, c’è la questione del personale sanitario. L’anno 2018/2019 è stato un anno di grande turn over della sanità: la gestione dei concorsi pubblici a rilento e la mancanza strutturale di figure in grado di andare a sostituire chi è andato in pensione ha mandato in tilt tutta Italia, e la Liguria non è stata da meno. Mancano 1700 persone, tra medici e personale sanitario, i piani di assunzioni procedono a rilento e l’impatto negativo è sull’offerta sanitaria: se manca il tecnico che fa funzionare la Tac, o non ci sono abbastanza infermieri per un’apertura in più di un ambulatorio, alla fine è il paziente che paga.
Il risultato di questa “gestione minimale” della sanità pubblica ligure, nelle intenzioni della giunta era quello di creare una competizione tra il pubblico e il privato, in cui il cittadino, indistintamente da dove proviene l’offerta sanitaria, va da chi fa meglio. Un meccanismo perverso che nei fatti porta ad una sanità a due livelli: tra chi può e chi non può permettersela, e dove il privato ha tutti i vantaggi e il pubblico tutti gli oneri. Un meccanismo che non ha funzionato neppure per bloccare le fughe sanitarie verso altre regioni, perché se l’intenzione era quella di creare competizione, il risultato è stato della confusione: il messaggio che è passato è quello di una sanità che complessivamente ha abbassato il suo livello di qualità, a partire dall’investimento scarso sulla rete sanitaria pubblica. Concludendo, il numero delle fughe verso altre Regioni: nel 2018 abbiamo raggiunto il massimo di 53 milioni di euro di “disavanzo” nelle fughe, con un +50% rispetto ai 34 milioni dell’anno precedente. Cosa vuol dire? In poche parole ogni anno la Liguria spende di più per i liguri che si curano fuori regione rispetto a quello che riceve come rimborso. Questo dato è lo spread tra quelli che vengono da altre regioni a curarsi e quanti liguri vanno fuori, quindi più sale peggio sta la nostra sanità.
La Giunta ha deciso che i risparmi sanitari di ogni anno dovessero essere di 15 milioni di euro. Con questo risultato nella gestione delle fughe è come se ci si fosse bruciato un anno di “efficientamento della sanità”. Tagli da un lato per risparmiare, ma dall’altro paghi il doppio perché non sei in grado di dare un’ offerta che convinca i tuoi cittadini a stare in Liguria a curarsi. Questa è la firma nel disastro sanitario di questi anni