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La crisi più pazza del mondo

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A che punto siamo (aggiornato prima di lunedì 19 all’alba)

Dall’8 agosto in avanti, con la maggioranza gialloverde spaccata sulla risoluzione TAV, la crisi di governo ha assunto toni, proporzioni e sviluppi difficilmente comprensibili, a partire dalle mosse di Salvini.

L’inizio – 9 agosto. Dopo il voto sulla TAV e la dichiarazione di Salvini per cui il Governo è finito

Allora, proviamo a ordinare i fatti, almeno alcuni. E partiamo dalle ragioni vere che hanno spinto Salvini a staccare la spina. Al di là delle invettive e dei pretesti penso che questi fatti siano stati due. 
Il primo è la scelta dei 5Stelle di votare a favore della Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. La spaccatura dentro la maggioranza di governo è stata per la Lega uno smacco difficilmente sopportabile. 
Secondo fatto, l’arrivo in Aula alla Camera, a settembre, della riduzione del numero dei parlamentari, cavallo di battaglia per Di Maio, ma anche pietra quasi tombale per le ambizioni di un voto a breve da parte di Salvini. 
A quel punto il capo della Lega ha capito che gli stava passando davanti l’ultimo treno utile per incassare il dividendo delle europee e di sondaggi generosi. E così ha fatto.
Col corollario di togliersi d’impiccio dalla fastidiosa necessità di scrivere, con altri e non da solo, una manovra per il 2020 che la Lega non poteva cucire a sua misura, nel senso dell’abisso aperto tra le molte promesse e il disastro dell’economia reale. 
Per cui si arriva al redde rationem. Dove a pesare sono state soprattutto le parole e i gesti del ministro uscente dell’interno. Quell’incredibile “datemi pieni poteri” che rimanda a epoche buie, la minaccia ai parlamentari “alzate il culo e venite a lavorare”. 

Gianni Cuperlo – Diario della crisi, puntata 2

Ma le cose non vanno secondo i desideri del Capo. L’Italia è una Repubblica Parlamentare e i tempi e i modi della crisi li decide il Parlamento, e in particolare modo il Senato, dove la mozione di sfiducia nei confronti di Conte è stata presentata dalla Lega

13 Agosto – Non passa la linea Salvini

In una seduta del Senato piuttosto folkloristica si consumano due passaggi importanti. Il primo, non passa la richiesta di calendarizzare urgentemente la mozione di Sfiducia al Presidente del Consiglio Conte, da parte della Lega. Il secondo, Salvini propone uno scambio complicato: il taglio dei parlamentari in cambio del voto subito. Una proposta più tattica che altro.

Ieri sono accadute alcune cose, in parte previste, in parte no. Era atteso che l’Aula del Senato avrebbe negato a Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia l’anticipo a oggi della sfiducia a Conte. Il tabellone luminoso ha immortalato una maggioranza diversa coi voti dei 5Stelle, i nostri e il gruppo misto (in buona parte) a confermare le comunicazioni di Conte per martedì prossimo. 
L’aspetto inatteso è stata la mossa di Salvini, gesto tattico più che altro. Si è alzato in piedi e ha rivolto agli ex alleati una proposta che lì per lì dev’essergli sembrata la mossa del cavallo. “Voi volete approvare la riduzione dei parlamentari e poi siete disposti a votare? Bene, ci sto. Votiamo la quarta lettura della riforma costituzionale alla Camera tutti assieme e poi si torna alle urne. Ok?”.
Questo Salvini. Ma c’è un dettaglio. Che a fare come dice lui si tornerebbe a votare con le vecchie regole (i famosi mille parlamentari) perché non avendo la riforma che riduce quel numero ottenuto in Parlamento i due terzi dei consensi, per diventare esecutiva dovrebbe passare dal referendum confermativo e dalla riperimetrazione dei collegi (insomma almeno sei mesi buoni). Votare con le vecchie regole dopo che si è approvata (seppure senza referendum) una riforma costituzionale che riduce il numero di parlamentari, al Quirinale è apparsa subito una stramberia, ma di quelle originali davvero.
A parte questo, per fare la furbata di Salvini sarebbe necessario che la Lega ritirasse la mozione di sfiducia a Conte dal momento che se sfiduci il premier non c’è più governo e la Camera non può votare la riforma. Insomma, più che mossa del cavallo è sembrato un cappotare in parcheggio.

Gianni Cuperlo – Diario della crisi, puntata 6

E il PD?

Nel mezzo dell’avvio della crisi si è aperta una discussione molto profonda sulle ipotesi in campo. Sintetizziamole così

Allora, la prima scuola dice più o meno così: c’è una destra arrembante e pericolosa che punta a prendersi il banco (maggioranza solida nei due rami del Parlamento e da lì il capo dello Stato, le autorità di garanzia, i giudici della Consulta e chi più ne ha più ne metta). Inoltre questi geni hanno lasciato conti in disordine e senza impedire l’aumento a gennaio dell’Iva ci ritroveremo in una recessione peggiore di ora. Quindi (sintesi) per salvare gli italiani dalla recessione e per fermare questa destra barbara bisogna sedersi al tavolo coi 5Stelle e dare vita a un governo che allontani le urne e metta in sicurezza il paese, conti, istituzioni e tutto il resto. Corollario della tesi: se Salvini, dopo aver chiesto e preteso le elezioni come un dittatorello qualunque, resta con un pugno di mosche anche la parabola del suo consenso è destinata a sgonfiarsi. E’ anche vero che fino a ieri coi 5Stelle dicevamo “mai, neanche un cappuccino al bar”, ma le condizioni in un lampo sono mutate e oggi, nel nome del senso di responsabilità verso la nazione e la democrazia, siamo pronti a ingoiare il rospo. Del resto anche in passato la sinistra, di fronte al pericolo, ha tessuto alleanze sulla carta improbabili e questo lo si fa ogni qualvolta i rischi per la democrazia sono superiori agli interessi di parte.
Abbastanza chiaro no?


Ora vediamo l’altra tesi: c’è una destra arrembante e pericolosa che punta a prendersi il banco (maggioranza solida nei due rami del Parlamento e da lì il capo dello Stato, le autorità di garanzia, i giudici della Consulta e chi più ne ha più ne metta). Fino qui, come vedete, premessa uguale alla tesi sopra. Ma a questo punto le letture divergono e il ragionamento prosegue così. Se dopo un anno disastroso dove i 5Stelle hanno approvato tutto e di tutto, compreso il peggio che si potesse, e dopo che hanno dimostrato di essere una versione del populismo meno autoritaria ma non meno confusa e pericolosa dell’altra (la leghista), ecco se dopo tutto questo, per paura delle urne (perché questa sarebbe la lettura), noi ci si fa un governo assieme non solo non è detto che l’operazione riesca ma è probabile che forniamo a Salvini un’arma micidiale per capitalizzare ancora di più il consenso di cui gode ora imbracciando la bandiera del “diamo voce al popolo e difendiamo la democrazia”. Insomma, se davvero la destra in campo è quella roba lì, allora una sinistra che abbia l’orgoglio delle sue radici e ragioni la deve sfidare, deve combattere, deve chiamare il popolo democratico a reagire e ribellarsi a una dittatura in fieri. Perché se non fa questo semplicemente smette di essere credibile agli occhi di milioni di persone. E dare per scontata la vittoria di quella destra vorrebbe dire abdicare alla propria dignità di una forza che di fronte all’avversario non ripara in una manovra di palazzo, ma scende in campo e aggredisce la sfida.

Gianni Cuperlo – diario della crisi, puntata 6

Su questo punto, la Direzione Nazionale del PD si riunirà il 21 agosto, dopo le Comunicazioni del Presidente del Consiglio Conte al Senato, sulla base di quello che sarà lo sviluppo della crisi.

Conte, Salvini e Di Maio.

Dopo aver annunciato la crisi, presentato la mozione di sfiducia, nei giorni successivi i segnali di Salvini portano ad un passo indietro

Salvini dopo avere sbranato il suo alleato, licenziato il premier e a petto nudo dichiarato “Fiume o morte” ieri ha detto che il suo telefono è sempre acceso e che se si vuole passare dal governo dei No a quello dei Sì lui è pronto perché (testuale) è (sempre lui) l’uomo più paziente del mondo. 
Ora, in questa collettiva regressione culturale etica e politica, la domanda spontanea è quella vecchia formula, “ma ci fa o ci è?”
Insomma, come può pensare uno che abbia la testa dove solitamente ha da essere (spiegherebbe Totò, sul collo) che dopo l’ambaradan piantato a ferragosto tutti rispondono “ah, ma era una boutade! Uno scherzo! La prova del fuoco per vedere l’effetto che fa!”.
E infatti anche Di Maio ha reagito con il linguaggio solenne e istituzionale tipico delle occasioni che contano e ha replicato “è tardi, la frittata è fatta”.
Cioè il paese va a ramengo, l’economia sta come sta (e la recessione tedesca è per noi un’aggravante pericolosa), teniamo esseri umani in ostaggio fuori banchina, per una settimana le due forze di governo si martellano come tamburi, e poi, digerito il gran pranzo del giorno di festa, si rimettono le lancette indietro e via col “telefono sempre acceso” e “la frittata fatta”?
Ecco, non so come dire, ma anche no. Anche la quota di tolleranza e pazienza di una nazione in vacanza dovrebbe stabilire una diga, una linea oltre la quale lo spettacolo offerto da drammatico diviene grottesco e infine patetico. 
Ora l’attesa è tutta per il 20 (martedì) e le comunicazioni che il premier Conte riferirà in Senato. Coi banchi del governo frequentati solo dai 5Stelle e i leghisti col loro capitano seduti ai loro di banchi, ma col dettaglio di essere il capitano (se nulla cambia) ancora ministro dell’Interno. Quindi si avrebbe la curiosa (e inedita) situazione di un ministro in carica che sfiducia il governo di cui fa parte sedendo tra i banchi dell’opposizione pure rimanendo vice premier dell’esecutivo che intende mandare a casa.

Gianni Cuperlo – Diario della Crisi, ottava puntata

La settimana decisiva

Tutto è quindi legato alle Comunicazioni del Presidente del Consiglio e agli scenari che si aprono. Il Post li ha messi in fila così:

Martedì 20 agosto
Il Senato è convocato alle 15 per le comunicazioni del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che dovrà rendere conto del fatto che la maggioranza di governo non esiste più, dopo la mozione di sfiducia presentata dalla Lega. Quello che succederà subito dopo, però, è difficile da prevedere: in condizioni normali, ci si aspetterebbe che Conte annunci di voler salire al Quirinale per dare le dimissioni. Ma in ballo c’è una mozione di sfiducia che Conte aveva detto di voler far votare in aula, per rendere trasparente la crisi e “parlamentarizzarla”, come si dice. E a tutto questo si è aggiunta la riforma dei parlamentari (ci arriviamo).

L’altra cosa importante che potrebbe succedere, quindi, è che si voti la mozione di sfiducia presentata contro Conte, come vorrebbe la Lega. Non si è ancora capito quando succederà, ma è importante perché ne dipenderanno diverse cose (arriviamo anche a questo).
Mercoledì 21 agosto
Alle 11.30 alla Camera c’è l’equivalente di quello che è successo il giorno prima al Senato: le comunicazioni di Conte. Per allora dovrebbe essersi capito qualcosa in più su quello che succederà, perché la mozione di sfiducia è stata presentata al Senato, diventata quindi la camera di riferimento per la gestione della crisi. Se Conte dovesse dimettersi il giorno prima, dopo la discussione al Senato e/o il voto sulla mozione di sfiducia, il dibattito alla Camera salterebbe.
Giovedì 22 agosto
Si riunisce la Camera per votare la riforma sul taglio del numero dei parlamentari, e qui le cose si fanno complicate.


Se per allora Conte si è dimesso
La Lega vorrebbe votare la sfiducia a Conte già martedì 20 agosto. Ma secondo quanto scrivono oggi i giornali, e secondo quanto ha detto ieri il leader del M5S Luigi Di Maio, se arriva la sfiducia – o se Conte si dimette – il lavoro delle camere si blocca, e non si può procedere con il voto sulla riforma costituzionale due giorni dopo. Bisogna tenere presente qui che il M5S ha di gran lunga la più ampia delegazione parlamentare, e quindi è praticamente impossibile prendere decisioni sul calendario dei lavori senza il suo consenso (salvo che non si alleino tutti gli altri, dal PD alla Lega a Forza Italia, scenario oggi piuttosto improponibile).
Il M5S ha chiesto alla Lega di ritirare la mozione di sfiducia e Salvini ha detto che non se ne parla. Salvini ieri ha mostrato di poter dire tutto e il contrario di tutto nel giro di 24 ore, ma al momento sembra comunque improbabile possa succedere: senza mozione di sfiducia, infatti, il governo resta in carica e le elezioni non si fanno. C’è quindi la possibilità che la votazione alla Camera salti, se Conte sarà sfiduciato prima.


Se per allora Conte è ancora in carica
Se il voto sulla mozione di sfiducia dovesse arrivare dopo, o se Conte dovesse decidere di non dimettersi dopo le sue comunicazioni al Parlamento, giovedì si potrebbe procedere con il voto sulla riforma del numero dei parlamentari. Manca solo un’ultima votazione della Camera perché sia approvata, e in teoria la maggioranza per approvarla c’è: quella tra Lega e Movimento 5 Stelle (senza contare che persino Matteo Renzi ieri aveva aperto a questa possibilità, ma solo allo scopo di rimandare le elezioni facendo un governo col M5S). Ma l’approvazione della riforma aprirebbe uno scenario totalmente nuovo.


Venerdì 23 agosto – settimana del 26 agosto
A seconda di cosa sarà successo tra il 20 e il 22 agosto, la settimana del 26 potrebbe essere quella decisiva per capire cosa succederà.


Se Conte è stato sfiduciato o si è dimesso
Vuol dire – con ogni probabilità – che non si è approvata la riforma costituzionale, e quindi c’è un grosso ostacolo in meno al voto in autunno. Sono gli ultimi giorni in cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella può sciogliere le camere perché si riesca a votare tra l’ultimo weekend di ottobre e il primo di novembre, considerato il limite massimo perché un nuovo governo possa approvare in tempo una legge di bilancio (e sarebbe comunque durissima: secondo quale sarà l’esito delle elezioni, le consultazioni potrebbero durare molto).
Tutto dipenderà da come si sarà evoluta la situazione. In questo scenario il M5S sarà probabilmente in pieno scontro con la Lega, per aver sfiduciato Conte e aver fatto saltare la riforma costituzionale, e quindi potrebbe tornare viva l’ipotesi di un’alleanza con il Partito Democratico che prolunghi la legislatura, sostenendo un nuovo governo guidato da Giuseppe Conte o da qualcun altro.


Se la riforma costituzionale è stata approvata
In questo scenario Conte è ancora al suo posto, o almeno questa sembra l’unica possibilità perché si concretizzi il taglio sul numero dei parlamentari. A questo punto però vorrebbe dire che è cominciato l’iter per la promulgazione di una riforma costituzionale, che come prima cosa prevede tre mesi di tempo perché 500mila elettori, cinque consigli regionali o un quinto dei parlamentari possano chiedere un referendum.
Oggi sul Corriere della Sera Marzio Breda, il più attendibile quirinalista italiano, scrive che il presidente Mattarella non ne vuole sapere di sciogliere le camere subito dopo l’approvazione della riforma costituzionale. Addirittura Breda – considerato nell’ambiente molto affidabile, quasi una diretta espressione di Mattarella – cita un virgolettato, non attribuito direttamente al presidente, che la definisce un’ipotesi che «non sta né in cielo né in terra». Il problema principale è che se il Parlamento fosse sciolto a fine agosto, per esempio, i tre mesi previsti costituzionalmente per chiedere il referendum non permetterebbero di votare in tempo per approvare la legge di bilancio.
E c’è anche un’altra questione, citata da Breda e dal costituzionalista Gaetano Azzariti intervistato oggi da Repubblica: nell’idea di Salvini la riforma sarebbe approvata, poi sarebbero organizzate elezioni da cui uscirebbe un Parlamento nella forma odierna, cioè con 950 seggi, e nei mesi successivi, concluso l’iter necessario, entrerebbe eventualmente in vigore la riforma che li porterebbe a 600 dopo le successive elezioni politiche, quando saranno. Questo vorrebbe dire che, ipoteticamente in primavera, ci sarebbe in carica un Parlamento formalmente legittimo, ma politicamente un po’ “azzoppato” perché più ampio di quello previsto dalla nuova Costituzione. Secondo Azzariti questo conflitto potrebbe costringere Mattarella a sciogliere le camere.


Lunedì 26 agosto
In tutto questo, lunedì è anche la data in cui ai singoli paesi europei devono presentare la candidatura del proprio commissario alla nuova Commissione Europea. Con la rottura dell’alleanza tra Lega e M5S, è molto più difficile che i due partiti si accordino sul nome da proporre: prima della crisi si riteneva sarebbe stato un leghista, come riconoscimento della vittoria della Lega alle ultime elezioni europee, mentre ora si ipotizza un profilo più tecnico.
Quella del 26 agosto non è una scadenza vincolante legalmente, ma l’Unione Europea raccomanda vivamente di rispettarla per permettere di partire con le audizioni per la verifica dei candidati a settembre, votare la Commissione a ottobre e permettere il suo insediamento a novembre. In passato è comunque successo che paesi senza governo in carica proponessero il proprio commissario, come nel caso del Belgio nel 2014. Un’ultima cosa: fonti interne alla Commissione hanno spiegato al Post che prima un paese propone il commissario, prima quest’ultimo può incontrare la presidente della Commissione e iniziare a proporre la sua agenda.


Venerdì 27 settembre
È la scadenza per presentare all’Unione Europea la nota di aggiornamento del DEF, il documento con cui indica i suoi piani economici triennali: non è una scadenza ineludibile, visto che è prevista la possibilità di proroghe speciali e ce ne sono già state in passato.


Martedì 15 ottobre
È la scadenza per presentare all’Unione Europea il Documento programmatico di bilancio, un rapporto che contiene maggiori dettagli sulla legge di bilancio: anche in questo caso, potrebbero essere concessi rinvii speciali.

Domenica 27 ottobre
È la data più probabile per le elezioni nell’ipotesi in cui la crisi si risolva entro la fine di agosto, con lo scioglimento delle camere all’inizio della settimana che comincia lunedì 26.
Tra le elezioni politiche e l’insediamento del nuovo Parlamento passano di solito una ventina di giorni. Andremmo quindi a metà novembre. Il nuovo Parlamento deve poi eleggere i presidenti delle camere, e solo allora il presidente della Repubblica può iniziare le consultazioni per formare un nuovo governo. Secondo i risultati delle elezioni le consultazioni possono durare un paio di giorni come un paio di mesi: lo abbiamo visto nel 2018. Realisticamente, comunque, è piuttosto complicato pensare che l’Italia, andando a votare subito, possa avere un nuovo governo prima della fine di novembre.


Domenica 3 novembre
Altra data possibile per le elezioni, se le camere venissero sciolte all’inizio della prima settimana di settembre.


Martedì 31 dicembre
Entro l’ultimo dell’anno il Parlamento deve approvare la legge di bilancio: questa scadenza è tassativa, perché se non viene rispettata succedono una serie di cose spiegate meglio qui. In sintesi: esercizio provvisorio e aumento automatico dell’IVA, cioè dei prezzi di quasi tutti i prodotti che compriamo.

Ecco, queste le date.

E ora?

In attesa delle ultime evoluzioni, resta un punto: l’altezza della sfida che abbiamo di fronte.

Romano Prodi sul Messaggero di oggi pigia il pedale di un’alleanza di legislatura tra Pd e 5Stelle. Le ragioni oramai le conoscete, mettere in sicurezza il paese (conti, istituzioni, riforme, diritti) e scongiurare il pericolo di una destra autoritaria e pigliatutto.


Ieri Emanuele Macaluso, in una lunga conversazione sull’Huffington post, ha preso cappello in senso esattamente opposto. Le alleanze – questo il succo – non si improvvisano e i 5Stelle non sono divenuti in mezza settimana altro da ciò che erano, un movimento animato da un populismo anti democratico. La sinistra deve smetterla di avere paura del popolo, deve combattere questa destra a viso aperto e sfidarla nelle urne perché se un partito fugge dalla democrazia convinto di perdere, semplicemente smette di essere un partito e fa un altro mestiere dove il governismo (nell’accezione del bisogno di tornare presto, anzi subito, al governo) finisce con lo spegnerne l’identità.


Per chiarezza, sia Prodi che Macaluso hanno usato parole e formule diverse, io mi sono permesso una sintesi per tradurre posizioni distanti (in questo caso radicalmente alternative) in una percezione la più chiara possibile. 
Cito queste due figure, entrambe prestigiose e stimabili, per dire quanto la vicenda che si va consumando in questo agosto da dimenticare sia complessa. 


Se uomini che hanno attraversato molte stagioni e che sono accomunati da un’eguale tensione morale verso la difesa della democrazia liberale e del compromesso costituzionale giungono a conclusioni antitetiche forse è doveroso che una classe dirigente, al pari della base elettorale del partito più grande, non proceda per assunti o anatemi, ma abbia l’umiltà – sottolineo tre volte, l’umiltà – di riflettere, di ascoltare la voci in dissenso, di non immaginare sempre che chi la pensa diversamente da te (un te neutro, come tale generico) nuoti nel torto.


In questo piccolo spazio per dieci giorni avete trovato più dubbi che certezze. Qualcuno tra voi sul punto ha ironizzato, altri hanno mostrato di condividere. Penso che alla fine, come è logico e giusto, un partito debba decidere, e naturalmente decideremo. 


Vorrei solamente che chi fino a tre ore fa minacciava di vomitare addosso a chiunque apriva lo spiraglio a un dialogo futuro con Grillo e Casaleggio evitasse almeno (avendo mutato di opinione nel tempo del dolce) di definire “disertori” quanti (vedi il novantacinquenne Macaluso o tante e tanti come lui) pensano che ora sarebbe più giusto, lineare e saggio sfidare la destra e, se possibile, batterla prima che il suo consenso trovi nuova linfa e alimento nel racconto di un ceto politico asserragliato in Parlamento e pronto a tutto pure di rimanere lì un altro po’.


Ecco, è troppo fare appello a questo senso delle proporzioni? Della misura? Di un linguaggio che, per una volta, esca dalla santabarbara delle scomuniche e scenda sulla terra? 


Magari anche per dire, “sapete che c’è amici? Ho cambiato idea. Il mondo me l’ha fatta cambiare ok, ma resta che l’ho cambiata e mi pare un atto di onestà intellettuale e politica nei confronti di tutti voi riconoscerlo, perché è anche il modo di scorgere nelle posizioni che, prima di me, negavano che Lega e 5Stelle fossero la stessa cosa, quel tratto di giusto che – lo confesso – non avevo visto. Beh, succede, adesso guardiamo avanti assieme”.

Gianni Cuperlo – diario della crisi – puntata 10

Metodo, onestà intellettuale e umiltà. Non mi sembrano da scartare, in questi tempi.

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