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ILVA, Genova e i tanti nodi irrisolti.

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La scelta di ArcelorMittal di recedere dagli impegni assunti più di un anno fa sul rilancio industriale degli stabilimenti e sulla riqualificazione ambientale rappresenta una sfida nazionale su cui occorrerebbe dimostrare, fino in fondo, responsabilità e senso dello Stato.

Ci troviamo di fronte ad un soggetto che ha utilizzato la scelta – sbagliata – di ritirare lo scudo penale in materia ambientale per rompere il rispetto del piano industriale e ambientale. E la decisione unilaterale di recedere, nel corso di questi giorni, sta assumendo motivazioni diverse dal ragionamento dello scudo penale. Utilizzato come casus belli di una vicenda più complessa che riguarda la tenuta e la realizzabilità di questo piano.

In risposta al Governo che si rende disponibile a sancire con una norma che “chi inquina paga, ma chi risana chi ha inquinato non può pagare per tutti quelli che nel passato hanno inquinato”, l’azienda ha sostenuto che il piano industriale non è più sostenibile e che ci sono 5000 esuberi per rimettere in sesto i conti. Una prospettiva inaccettabile, dopo che sulla base di quel piano industriale era stata affidata la gestione degli impianti ex Ilva a ArcelorMittal, rispetto ad altre ipotesi.

La vicenda Taranto, con le difficoltà del difficile rapporto tra lavoro e ambiente, ha una ripercussione generale sul sistema industriale italiano e su tutti gli stabilimenti che dipendono dalla sua produzione, a partire da Genova, il cui caso però è differente ma ne dipende direttamente per quanto riguarda la produzione.

È in corso un durissimo scontro con ArcelorMittal, e la posizione di tutte le forze politiche, a partire dal Governo, è quella di mettere in campo tutte le soluzioni perché la produzione vada avanti e i patti in materia di risanamento ambientale vadano mantenuti. Tutte le soluzioni significa, a mio avviso, che se sarà necessario lo Stato dovrà prevedere di intervenire direttamente con Cassa Depositi e Prestiti per garantire la continuità industriale della produzione. Fare politica industriale significa anche questo, un intervento diretto per garantire investimenti ambientali e produttivi e la tenuta del settore siderurgico italiano. Siamo di fronte ad una sfida di questo tipo e, seppur legittima, la polemica politica e lo strumentale uso della vicenda non è quello che serve.

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