L’adozione del Piano Territoriale Regionale costituisce una occasione storica nell’ambito dell’individuazione della strategie di sviluppo della nostra Regione, in una logica di lungo periodo, con l’obiettivo di delineare gli assi di indirizzo socio economico e ambientale, alla luce di un solido apparato di conoscenze, di una analisi dei punti di forza e di debolezza del nostro territorio e delle misure che consentano ai vari livelli chiamati alla programmazione urbanistica di avere un timone saldo rispetto alla direzione da intraprendere. Un piano di sintesi rispetto agli altri piani, che dia indirizzi strategici, lasciando l’attuazione ai Comuni e agli attori territoriali. A partire dalla necessità di coordinare il Piano Territoriale con il Piano Paesaggistico regionale, sovraordinato e “gemello” del PTR, non ancora concluso nel suo iter.
L’impostazione della Giunta Regionale, da questo punto di vista risulta carente già nella fase di impostazione.
Confrontando il PTR ligure con le esperienze degli altri piani territoriali regionali recenti, appare evidente uno squilibrio fortissimo di analisi del territorio, delle tendenze socio economiche, dello sviluppo ambientale. Il quadro conoscitivo è limitato. Nelle audizioni si sono susseguite molte critiche proprio per la carenza di solide basi conoscitive sulla storia del territorio, lo stato attuale e i possibili scenari futuri dell’economia e della società ligure. Sotto diversi punti di vista: sia nel recepire e fare sintesi del territorio già pianificato da Comuni (anche in forma associata), Province e Città Metropolitana, ma anche da Parchi e Autorità Portuali, per fare alcuni esempi. Sia per la rappresentazione dell’economia e della società ligure ed una conseguente individuazione del ruolo della Liguria nel panorama nazionale e soprattutto internazionale: decremento demografico costante sugli ultimi vent’anni, incidenza esorbitante della popolazione anziana sul totale, riduzione progressiva della quota di popolazione giovane e anche di quella in età lavorativa, crescente fragilità del quadro ambientale, riduzione dei comparti produttivi sono le criticità che il PTR non sembra minimamente fotografare nella sua interezza. Sia, infine, nel rapporto con il resto della programmazione regionale, elemento caratterizzante degli altri piani territoriali regionali: manca un’analisi sul posizionamento del territorio e della società regionale nel contesto sovraregionale ed europeo, e conseguentemente una visione di sviluppo rivolta all’esterno dei propri confini, e manca anche un serio coordinamento delle scelte territoriali con le politiche di sviluppo, la programmazione delle risorse, la difesa del suolo, le politiche agricole e di sostegno alle attività commerciali che lo stesso Ente regionale promuove. Manca un riferimento con la programmazione Europea e, nello specifico con il PNRR, che invece costituisce un fattore determinante per indirizzare azioni e risorse. Il PTR non contiene alcun riferimento al PNRR e alle politiche per la transizione ecologica ed energetica avviate a livello nazionale ed europeo (Next Generation UE per esempio), che porteranno molti potenziali trasferimenti di risorse anche in Liguria: sanità, scuola, aree interne, digitalizzazione, impresa, transizione ecologica sono misure che andrebbero “guidate” e “territorializzate”.
Non c’è rapporto con l’Agenda Regionale 2030 sullo Sviluppo Sostenibile, né con la Strategia regionale per lo sviluppo sostenibile. Non c’è infine legame con gli strumenti regionali di programmazione, sia quelli ordinari (Documento di economia e finanza regionale) che quelli europei (PON Metro, PSR sviluppo rurale, programmazione dei fondi comunitari, ecc.). A ciò si aggiunga anche il fatto che oltre alla parte del quadro conoscitivo, manca anche un vero atlante delle trasformazioni urbane, che delinei la fotografia delle dinamiche del territorio. E anche consenta il monitoraggio nel futuro.
Ci troviamo di fronte quindi all’assurdità di un documento strategico che non solo non ha una strategia chiara, ma neppure gli elementi di insieme e di lettura delle dinamiche territoriali necessari per orientare il futuro della Liguria.
Oltre al quadro conoscitivo e alla fotografia della Liguria, l’altro aspetto fortemente critico è l’idea di Liguria che la Giunta intende proporre. Oltre alle misure generali, l’idea è quella di un territorio tripartito tra entroterra, città e conurbazioni urbane. Una scelta politica a nostro avviso sbagliata, perché fotografa le disuguaglianze dei territori, nega le relazioni tra costa ed entroterra, e sembra cieca rispetto allo sviluppo peculiare dei luoghi, operando “a strati”, senza valorizzare quella logica di rete e di sistemi complessi che travalicano quella divisione del territorio.
In più, anche la scelta politica ci sembra assolutamente fuori fuoco, per alcuni assi. “Liberare l’entroterra” è il mantra di una parte del Piano, come se il problema dello spopolamento, della crisi demografica ed ecologica si potesse risolvere con un nuovo percorso di occupazioni di volumi e spazi. “Ripensare la città”, invece, ha una visione debole, sia dal punto di vista della riorganizzazione degli spazi pubblici e degli equilibri ambientali (non si parla di “città dei 15 minuti), né dal punto di vista delle attività economiche e dei servizi. “Avere cura della costa” nasconde sotto le misure di contenimento di consumo di nuovo suolo, nuove ipotesi di sfruttamento del territorio, nascosti sotto la lente della “rigenerazione urbana”.
Il problema inoltre di questi tre assi è che sono cieche rispetto ai luoghi: non sviluppano peculiarità, sono troppo generiche rispetto agli obiettivi di indirizzo e non riescono a fare il salto di qualità sul tema principale e trasversale su cui a nostro avviso si sarebbe dovuto impostare il PTR ligure: la sostenibilità ambientale, sociale ed economica della Liguria.
Ambientale, perché l’obbiettivo prioritario non è solo la riduzione di consumo di nuovo suolo, ma anche la de impermeabilizzazione dei suoli, la rinaturalizzazione di spazi, soprattutto nella città; è un piano per il dissesto, integrale, che metta insieme le politiche sui versanti, il tema del bosco e delle coste in una logica sistemica.
Sociale, perchè la pandemia ha imposto un ripensamento generale delle infrastrutture sociali, sanitarie, culturali, comunitarie, in una logica di sempre maggiore prossimità e restituzione degli spazi destinati ai “beni comuni”; la solitudine, l’abbandono, le politiche per l’abitare, i servizi alla persona vanno declinati in maniera integrata tra costa ed entroterra per ridurre le disuguaglianze, sociali e di riconoscimento e consentire lo sviluppo di nuove reti.
Economica, perché il rilancio della nostra Regione passa dalla valorizzazione dei suoi asset principali – logistica, industria, ricerca, servizi, turismo – ma devono essere ri-pensati e ricostruiti alla luce della pandemia, con soluzioni innovative e sperimentali, mirati all’innovazione e alla sostenibilità ambientale, a partire dall’energia.
Si tratta solo di alcuni accenni, che però sembrano non emergere minimamente in un documento strategico quale dovrebbe essere il PTR. Che invece si configura, nella parte delle norme come uno strumento spurio, i cui effetti rischiano di essere pericolosi.
Il tema più rilevante è proprio quello dell’entroterra. Fatta la premessa per cui non pare minimamente porsi il tema dei servizi, della tutela del territorio, degli interventi contro il dissesto, le norme del PTR sull’entroterra sono nei fatti una dichiarazione di nuova edificazione nell’entroterra. Le uniche norme a carattere prescrittivo di tutto il piano sono norme che consentono nuovi volumi nell’entroterra, con un livello di dettaglio che non si può vedere in un Piano Territoriale, sia per quanto riguarda le “attività connesse all’agricoltura”, quasi se il problema dell’attività agricola in Liguria sia l’autorizzazione per nuovi capanni per gli attrezzi, sia per gli insediamenti di attività e imprese innovative. Questa logica per cui, tolti i vincoli, tutto rifiorisce, ha un distacco dalla realtà imbarazzante, ed è anche un meccanismo autoassolutorio della politica nei confronti dei necessari investimenti di cui avrebbero bisogno le aree interne, dal punto di vista dei servizi essenziali e del miglioramento della qualità della vita. Condizione per un reinsediamento nell’entroterra ben più qualificante rispetto a qualche metro quadrato di volumi in più.
Una dinamica simile, in cui non si opera in direzione di una maggiore sostenibilità, la si vede anche negli altri ambiti – come la città e la costa: non c’è un censimento della rigenerazione urbana, degli spazi dismessi e vuoti, né un incentivo alla decostruzione, e sotto l’etichetta della rigenerazione, si abdica spesso al disegno della città e degli spazi. E’ con preoccupazione che si rileva, oltretutto, un passo indietro rispetto alla previsione di nuovi porti turistici nella costa ligure, un tema che era stato definito anni fa e che ora sembra rispuntare nelle misure del PTR, in aperta contraddizione con l’idea di “cura della costa” che viene citata più volte.
Infine, il nodo delle reti: il PTR dovrebbe identificare chiaramente le infrastrutture, legarne le dinamiche ai luoghi. E mettere al centro anche i temi centrali della salute, dell’istruzione, del welfare, della casa. E, nonostante le risorse del PNRR, non esiste una fotografia della rete ospedaliera – non solo i poli ospedalieri, ma neppure le Case della salute e le case di comunità – né una fotografia dei poli scolastici e della presenza dell’Università, per fare alcuni esempi.
Si dice che gran parte della definizione della “città pubblica” sarà demandato ai Piani dei Servizi e delle Infrastrutture, un meccanismo pasticciato, inserito dalla Giunta Regionale a pochi mesi dalla conclusione dell’iter del PTR: ma in questo caso, gli indirizzi regionali sono così generici da risultare inutili, e comunque, superabili dalla programmazione comunale, andando a perdere il filo strategico che invece dovrebbe guidare un Piano Territoriale. Un’idea di urbanistica à la carte, che più che “flessibile” si rivela confusa, come nel caso dei Comuni che si definiscono Poli Attrattori dell’Entroterra. Il PTR li individua, ma lascia sempre la possibilità, per i Comuni che si sentano di avere questa vocazione, di organizzarsi per diventarlo. Una forma di autogestione urbanistica, piuttosto singolare, e i cui esiti rischiano di produrre più carta che altro.
E, in conclusione, gli altri elementi di palese debolezza sono legati a come realizzare il PTR e alla misurazione degli esiti.
Non c’è un quadro concreto di risorse disponibili, né il collegamento con gli altri elementi di programmazione regionale e comunitaria, a partire dal PNRR, per cui è difficile collegare gli aspetti in mancanza di un coordinamento. Molte delle misure del PTR, soprattutto quelle per la rigenerazione, necessitano di investimenti, che ad oggi non risultano, per fare un esempio, e le misure per l’entroterra, se non accompagnate da risorse, rischiano di amplificare le disuguaglianze e le criticità invece che ridurle.
Ultimo aspetto, la misurazione degli esiti: un Piano funziona se si realizzano le misure e gli obiettivi. Premesso che si tratta di obiettivi così generici da essere di difficile controllo, esiste la necessità di un vero Osservatorio Permanente Indipendente degli esiti, che possa verificare le trasformazioni, realizzare studi, proporre modifiche al Piano.
Il quadro complessivo della proposta della Giunta di Piano Territoriale Regionale è assai deludente: in estrema sintesi, un Piano senza strategia, che non dà indirizzi chiari per la sostenibilità ambientale e sociale della nostra regione, che non ha un’idea di quale economia per il futuro della Liguria, che parla di strategie verdi, ma che come primo punto cardine di questa strategia decide di aumentare le possibilità di volumi nell’entroterra, in una sorta di liberi tutti, e anche sulle coste. Una serie di scelte sbagliate e regressive che non porteranno investimenti e crescita e che rischiano di amplificare i problemi della nostra Regione.