La sconfitta in Umbria è stata netta, ma non inaspettata. Ho aspettato un po’, anche per lasciar rifluire l’onda dei commentatori del giorno dopo che sapevano come sarebbe andata ma non l’avevano detto prima, e mi sono fatto persuaso di poche cose rispetto a quello che è successo e soprattutto su quello che dovremmo imparare da questa sconfitta.
Il primo punto è che – come avevo già detto qui (appunti per il nuovo governo, link), non si può costruire un’esperienza, sia essa di governo nazionale, che coalizione elettorale ad ogni livello, con l’obiettivo di fare argine e proporsi contro qualcuno e/o qualcosa. L’argine è una precondizione per stare insieme, ma non può essere il motore di una azione politica. E governare con diffidenze non aiuta a rendere più solido il messaggio, ma rende quello che si è fatto una esperienza più tattica che altro. La destra non si sconfiggerà lanciando messaggi ambigui o gestendo solo il percorso in parlamento, ma costruendo un movimento di opinioni e di idee radicalmente alternativo. Non serve dire solo dire “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, ma dire “da che parte stiamo”, come annunciato dalla bella campagna del Labour in questi giorni. Una sfida che riguarda tutti, non solo il PD. Altrimenti la fatica fatta in questi mesi sarà inutile.
Per questo, bisogna convincersi, e convincere gli italiani che quello di cui abbiamo bisogno è una svolta radicale e netta nelle politiche economiche e sociali. Una svolta radicale e netta che abbia il coraggio di rimettere in discussione molte cose e che dia il segno di un cambiamento, a partire dal lavoro e dalla giustizia sociale, andando a dare risposte ai bisogni delle persone che rischiano di trovare in Salvini e nella destra l’interlocutore sbagliato alle reali richieste di protezione sociale da un mondo sempre più diseguale e sempre più ingiusto.
In questi giorni si è molto parlato della necessità di un congresso del PD, e lo stesso segretario ha riproposto l’idea di rifondare il Partito. Il punto è sapere chi siamo e cosa vogliamo per i prossimi vent’anni, rifondare il nostro “orizzonte politico culturale”, perché il PD del 2020 non può essere, dopo la più grande crisi, lo stesso del 2007, dal punto di vista della lettura del mondo, dei conflitti, delle aspettative. Serve un percorso di rigenerazione e di apertura, che coinvolga le energie e le competenze di chi, anche deluso dalle stagioni precedenti e delle iniziative del nostro partito, ne riconosce però l’indispensabilità nella costruzione di una alternativa, vera e concreta che parta dal principio dell’uguaglianza sostenibile.
E’ in tutto questo percorso che va inserito anche il rapporto con le forze politiche con cui si governa attualmente, a partire dal movimento cinque stelle. Non servono formule o soluzioni temporanee, servono strategie di lungo periodo: le strategie prevedono però la condivisione di valori di partenza e di obiettivi da raggiungere. Se non ci sono allora, qualsiasi percorso non sarà ritenuto credibile. Spero che si apra una riflessione su questo tema, piuttosto che richiamarsi a purezze e prese di distanza, anche perchè come diceva Don Primo Mazzolari, non serve dire di avere le mani pulite se le si è sempre tenute in tasca.