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“Ma l’impresa eccezionale, è essere normale.”

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La crisi più pazza del mondo, come l’han definita tutti, è stata un calderone che ha rimesso in discussione diverse certezze, scombussolato il quadro politico e aperto una stagione inedita, sul cui finale sarebbe prudente non scommettere alla leggera.

Per questo, penso sia utile, almeno per me, tenere bene a mente due o tre cose, per provare ad affrontare questa strada bene, sbagliando il meno possibile. E sapendo che, nonostante gli entusiasmi iniziali, si stratta di andare controcorrente, come i salmoni. Si può fare, ma bisogna essere attrezzati.E non sarà facile. Per cui alcuni dati bisogna metterli in fila di modo da capire come orientarsi nel futuro:

La riscoperta del parlamento. Ad agosto, mese in cui ci siamo riscoperti un po’ tutti costituzionalisti, abbiamo visto rimettere al centro – anche se con toni non all’altezza – il parlamento, il confronto delle forze politiche, la strutturazione della democrazia rappresentativa. Un passo in avanti, ancora piuttosto fragile e timido, contro il richiamo al “popolo”. Durerà?

La riscoperta dell’Europa. Che, nelle stesse settimane in cui Salvini e i suoi sodali si affidavano non al cuore immacolato di Maria, ma più prosaicamente ai rubli di Putin, il fatto che si sia fissato saldamente la nostra prospettiva nell’Europa e nella difesa dalle democrazie “illiberali” di Orban e soci è una conquista politica di primo livello. Da coltivare e costruire nel futuro.

Identità e contaminazione. La nuova esperienza di governo tra PD, Movimento 5 Stelle e LEU è nata con una grande accelerazione dei tempi. La politica è fatta di atti, ma soprattutto di processi, più lunghi, per consentire di mettere radici. Quello che si poteva/doveva fare in molto tempo – definizione dei tratti comuni, una ricostituzione di un orizzonte politico culturale che ci consente di sapere chi siamo, un metodo ed un linguaggio diverso – è stato sconvolto dalla crisi, che ora ci porta a dover “mettere radici in corsa” rispetto a questa esperienza di governo. Non si governa da nemici, dice giustamente Zingaretti, e bisognerebbe evitare di governare per parti separate, come nell’ultima esperienza. Ma rinunciare alla costruzione di una nostra identità, sostituendo la nostra cultura politica con la nostra cultura di governo, è la cosa peggiore che possiamo fare in questa fase. Perché rende anche più difficile la contaminazione necessaria e l’ascolto con i tuoi compagni di strada.

O si cambia o si muore. Penso che pur nella ricostruzione di una normalità democratica, questa esperienza di governo “normale” non possa permettersi la moderazione nelle scelte politiche: c’è una forte esigenza di porre radici e dare scosse positive ad una società sofferente e spesso rancorosa, e se questo non avverrà, sarà molto più complicato reggere l’urto. La cifra di una nuova questione sociale, la riduzione delle disuguaglianze, la redistribuzione delle risorse, la definizione di un salario minimo con i sindacati, la costruzione di una nuova strategia verde sono atti necessari perché si respiri il cambiamento, e non la mera sopravvivenza di questa esperienza.

I numeri, e la vita. Ecco, da un lato ci sono le sfide macro, che interessano il Paese. Lo spread, la crescita, la produzione industriale, la composizione demografica. Poi c’è la vita delle singole persone. Molto spesso, nelle ultime esperienze di governo, lo sguardo prevalente è stato sui numeri globali, spesso positivi, meno su come impattavano sulla vita delle singole persone. La distribuzione non è neutra, non l’è mai stata, e spesso non è equa. E senza equità non ci sarà crescita. Per cui serve una politica che non guardi dall’alto in basso ma all’altezza degli occhi delle persone. Una politica, non solo un governo. Perché il governo non basta.

L’argine. Molta della discussione sulla necessità di costruire un nuovo governo si è orientata sulla necessità di contenere Salvini, con tratti eversivi, per il pericolo che può rappresentare per il nostro Paese, per l’Europa e per la la politica mondiale la destabilizzazione dell’Italia. Non sono certo, per le ragioni di cui parlo prima, che possa essere una motivazione sufficiente l’aver fatto argine. Aver costruito un’argine è una precondizione per il cambiamento: non un programma di governo; serve per proteggere il terreno dall’ondata dei sovranisti, ma poi il terreno va sistemato, i pozzi avvelenati in questi anni vanno bonificati e restituiti alla collettività. L’argine però deve reggere, e quindi non deve avere falle, e se ci sono, vanno sistemate. Perché altrimenti l’ondata sarà ancora più forte.

La destra c’è ancora. Il punto è questo. È bene che Salvini non sia più al Governo e che non sia più al Viminale, anche se fisicamente lì c’è stato poco. Ma la politica non è solo il governo e Salvini e il blocco sociale che rappresenta e che ha accudito in questi anni è forte e radicato nella società. E reagirà. C’è un consenso reale con cui fare i conti e serve una azione politica nella società, non solo con l’azione di governo, per contrastare questa reazione, dare risposte, costruire consenso. Dare per sconfitto Salvini è un errore grave che non va assolutamente compiuto.

Infine, bisogna tornare al buon senso. Dopo la stagione dell’odio e la costruzione di un clima soffocante e incattivito nel nostro paese, che è diventato senso comune, bisogna far uscire dall’angolo “il buon senso che stava nascosto per paura del senso comune”. L’odio ha un costo, sociale, relazionale, economico: sfalda comunità, mette contro ultimi e penultimi, crea disuguaglianze. Se c’è un compito da darci, nel mettere radici per rendere solida questa esperienza, è quello di ristabilire una normalità democratica in questo Paese. Forse sarà la cosa più complicata da fare, perché si è scavato troppo a fondo. Per cui, come cantava Lucio Dalla, per il nuovo governo, “l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”.

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