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Piano Sociale integrato: dopo dieci anni, uno strumento limitato.

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Il piano sociale integrato arriva all’esame dell’Aula dopo 10 anni dall’ultimo strumento di programmazione, ancora risalente alle giunte di centrosinistra.

Il primo dato che va quindi evidenziato è che dal 2015 ad oggi il tema della programmazione delle politiche sociali è stato considerato un mero elemento gestionale e non centrale nell’agenda della Giunta Toti. Sia nel primo che nel secondo mandato. 

Nel primo mandato, vi era una occasione in più, perché per la prima volta si assommavano nello stesso assessorato le politiche sociali e quelle sanitarie, nella logica della sempre maggiore integrazione che caratterizzava il Piano 2013-2015. Il passo successivo sarebbe dovuto essere un unico Piano Sanitario e Sociale, di cui invece non si fece nulla.

Nel secondo mandato le deleghe sanitarie sono rimaste in capo al Presidente della Giunta Regionale, che ha redatto il Piano Socio Sanitario (per poi passarlo all’Assessore Gratarola), e all’Assessore Cavo che, dopo due anni ha lasciato all’Assessore Giampedrone il compito di finire il lavoro sullo PSIR.

Ci troviamo quindi ora a discutere la fine di un percorso che ha già nella propria impostazione un limite di fondo. Veniamo da 10 anni di mancata integrazione dei sistemi sanitari e sociali, e il Piano viene approvato 100 giorni dopo il Piano Socio Sanitario Regionale, il cui “modo ancor m’offende” direbbe il Sommo Poeta.

Parto da queste due tempistiche – 10 anni | 100 giorni – perché ci sono in queste due date, in queste due tempistiche, due fallimenti.

Il primo fallimento, di programmazione regionale rispetto al sociale; il fatto che la giunta sia arrivata ad un nuovo strumento in un mondo che è completamente cambiato rispetto a 10 anni fa, quando la vecchia programmazione era stata pensata (impostazione che si è dimostrata solida oltre ogni ragionevole scadenza). Il secondo fallimento perché a cosi poca distanza di tempo vi siano due documenti – PSSR e PSIR – che vengono trattati separatamente, mentre avrebbero dovuto far parte di una unica strategia regionale, dà il senso che si sia persa una ulteriore occasione. 

Dieci anni fa si parlava di integrazione e di “tendere” ad un unico strumento, per rispondere alle mutate e sempre più complesse esigenze dei cittadini: i bisogni sanitari spesso hanno impatti sociali, i bisogni sociali impatti anche sanitari oltreché educativi, relazionali. 

Ecco un approccio realmente integrato sarebbe stato più utile: invece la cifra che si registra è che si sia deciso non far dialogare questi questi 2 piani, avendone l’occasione e pure le tempistiche. 

Per citare un altro Poeta, Brunello Robertetti, un geniale personaggio di Corrado Guzzanti, il piano sanitario e quello sociale sono come “due rette parallele che non si incontrano mai… e se si incontrano non si salutano”.

Dalla lettura comparata dei due strumenti è abbastanza evidente che siano stati scritti in una maniera indipendente l’uno dall’altro e senza capire quali potevano essere gli strumenti di connessione: ne è una plastica evidenza la scarna pagina di connessione sulla “integrazione socio sanitaria”, che invece avrebbe dovuto essere il cuore di dialogo tra i due sistemi.

Fatta questa premessa di metodo, cerchiamo di evidenziare quelli che sono le ragioni che portano il Gruppo del Partito Democratico a un giudizio negativo rispetto a questo strumento.

Prioritariamente bisogna decidere da che punto prendere questa questa analisi del piano, se trasformarla in un’analisi tecnica del documento, su quello che sono i contenuti specifici, le impostazioni e gli strumenti riportati nel piano, seppure definite come “mappe concettuali”: in questo caso l’atteggiamento potrebbe essere quello di una certa neutralità, perché i contenuti descritti dal piano rappresentano in gran parte una attuazione delle politiche nazionali, sulla non autosufficienza, sul politiche di investimenti sociali, un’attuazione di strumenti già molto consolidati, senza grandi innovazioni rispetto al punto di vista nazionale, quindi configurandosi come l’attuazione della rete di servizi sociali della 328 e della legge regionale 16, senza guizzi di originalità né straordinarie carenze. Si riportano pezzi di programmazione nazionale, si inseriscono all’interno di questi elementi di programmazione nazionale una serie di iniziativa, di azioni che sono mutuate dall’esperienze, dalla rete territoriale e dell’esperienza nazionale 

L’unico elemento di riflessione è sulla governance ed è rappresentato dal ridisegno dei degli ATS, degli ambiti territoriali sociali, con il superamento della dicotomia tra i distretti sanitari e distretti sociali: una riforma che doveva già avere un suo percorso nello scorso mandato e di cui non si fece più nulla. 

Ma nonostante sia uno strumento che riporta in maniera quasi neutrale una serie di azioni normative e di azioni, il giudizio non può non che essere di carattere politico, su dove e come si colloca questo documento di programmazione. Perché anche se l’iter è stato più semplice, meno confuso, su cui c’erano meno aspettative rispetto al piano socio sanitario regionale, un documento di programmazione funziona se è collocato all’interno di un contesto temporale, di azione, di prospettiva, di governo.

E qui il giudizio su quello che è scritto nel piano ovviamente viene messo la prova dei fatti e dei dati reali e del momento storico in cui ci si muove.

C’è un piano che sottopone alcune mappe concettuali su cui muoversi, con questa struttura molto elastica, molto vaga che viene presentata senza tabelle, elementi di contesto, dati e prospettive. 

Alle mappe proposte affianchiamo alcune chiavi di lettura che sono quelle che poi motivano il fatto che non ci possa che essere un voto di contrarietà a questo documento, nonostante si apprezzino toni e percorso.  

Il primo è che il documento di programmazione galleggia in un lettura, a nostro avviso molto poco coerente, rispetto le tendenze nei prossimi anni dei bisogni sociali, sanitari e educativi. La parte che riguarda le analisi di contesto è una parte molto fragile, molto debole in cui lo sforzo per le tendenze nei prossimi anni è solamente accennato quando invece è evidente dalla letteratura in materia il fatto che vi sia una crescita enorme e sempre più differenziata dei bisogni che non vengono esaminati in maniera coerente in maniera approfondita e originale.

Inoltre, questo elemento di programmazione nei fatti fa ordine di un sistema di organizzazione dei servizi che si inserisce nella discussione del PNRR, soprattutto per le missioni 5 e 6, quelle per l’inclusione sociale e la salute. Missioni che vedranno il proprio termine alla fine di questo piano, nel 2026: e quindi ci si domanda ad esempio come si inseriranno pienamente le discipline della casa di comunità previste dal piano sociale integrato con quelle del piano socio sanitario regionale, perché ad oggi non è dato sapere nulla su questo, non essendoci alcun cronoprogramma. 

Ma accanto ai tempi, il principale aspetto riguarda le risorse: questo piano chiede di riorganizzare la rete ma non accompagna minimamente questa organizzazione dei servizi ad un sforzo economico di finanziamento per renderlo effettivo, efficace e omogeneo su tutto il territorio regionale

Il modello per cui dai vecchi distretti sociali si passa agli ATS è un modello volontaristico, in cui nel giro di poco più di un anno i Comuni saranno chiamati a realizzare le proprie strutture, i propri punti unici di accesso – i vecchi ATS che sono più tali  – a individuare il personale alle redigere i piani di zona, il tutto senza che ci siano destinate risorse per l’attivazione dello PSIR. Risorse che sarebbero necessarie sia per la redazione dei piani di zona, sia per la parte di assunzione del personale che della coprogrammazione e della coprogettazione.

Risorse necessarie soprattutto per i comuni, per i territori che hanno bisogno di strumenti e spazi omogenei per organizzare i servizi: La regione offre tre possibilità: le unioni i comuni per gestire i servizi sociali, ma lo fa in un contesto in cui di le unioni di comuni non sono particolarmente favorite . Lo strumento delle convenzioni, in cui non esiste ad oggi neanche un schema tipo di convinzione regionale e quello nei consorzi che per propria natura hanno bisogno di strumenti risorse e attivazione.

Sul tema delle risorse per l’attivazione dello PSIR presenteremo un emendamento al fine di costituire un “Fondo Straordinario per l’attuazione del Piano Sociale Integrato”, che garantisca le priorità – assunzioni, perequazioni, contributi – a supporto dei Comuni e con modalità da definire assieme ai soggetti chiamati a convertire la propria governance.

Programmare senza risorse interne a sostegno dell’efficacia della programmazione costituisce sicuramente un limite. Si osserverà che andando avanti queste risorse compariranno a seguito del percorso, ma non è il modo corretto di fare programmazione, perché la legge regionale sui servizi sociali dice che le fonti di finanziamento e i fabbisogni devono essere definiti al momento in cui programmi, cosa che qui non avviene.

Oltre a un tema di coerenza interna c’è un tema di contesto, rappresentato pienamente dalla fase politica e storica in cui si colloca la programmazione degli interventi sociali, e con il fatto che questo strumento si ponga degli obiettivi che per propria natura sono obiettivi poco raggiungibili.

Ci troviamo di fronte ad un governo nazionale che ha scelto di depotenziare profondamente le misure di carattere sociale: quelle contro la povertà, sull’inclusione, che che ha tagliato di 1 miliardo e mezzo fondi che prima erano previsti ad esempio per il reddito di cittadinanza e adesso sono presenti per il cosiddetto reddito di inclusione lasciando gran parte dei soggetti senza alcun tipo di tutela per far ad esempio.  Con poche risorse sul tema della disabilità, o sulla casa, per citare le ultime misure di carattere nazionale. Quindi il rischio che ci sia una discrasia tra quanto previsto dalla programmazione e quanto sono le risorse disponibili a livello nazionale rende molto difficile che noi che noi possiamo dare un giudizio positivo sul fatto che queste misure si potranno realizzare senza un intervento ulteriore della regione o una presa di posizione chiara in questa materia, con il rischio che a sostenere gli oneri su povertà, casa, welfare, siano i Comuni.

Poi c’è un dato ancora più contingente, cioè il ruolo della Regione in questo. Perché mentre si discute del piano sociale, in questi stessi giorni si sta discutendo di una profonda difficoltà dei conti pubblici della sanità. Ccome si potrà fare integrazione socio sanitaria nel momento in cui dai giornali apprendiamo che sono previsti tagli dei servizi per circa 70 milioni e un piano di rientro?  Visto che non si potranno né chiudere reparti di ospedali e non potranno essere tagliate oltre le prestazioni ed esami pare evidente che a fare le spese di un taglio dei servizi siano quelle attività in limine tra il sanitario e sociale che spesso si collocano tra i due tra i due aspetti. Quindi c’è molta preoccupazione anche perché alcune iniziative sulla residenzialità, sugli anziani, su disabili hanno profonde componenti sanitarie e saranno quelle che in un contesto di riduzione di servizi saranno ancora di più penalizzate.  

Come potranno essere messe a terra questa queste misure e quelli che sono gli obiettivi istituzionali delle politiche sociali, in un quadro in cui le risorse sono carenti sia a livello nazionale che regionale e in un contesto ulteriore di crisi della sanità ligure?

Siamo di fronte quindi ad uno strumento che promettere molto ma che per come è contestualizzato e per come è presentato non ha la possibilità di incidere realmente e rischia di trasformarsi in uno strumento meramente gestionale delle politiche sociali, per organizzare i servizi, i fondi che arrivano a livello comunitario e a livello nazionale e regionale.

Ultimo punto. Il piano ha poche capacità predittiva, nel senso che in una lettura quasi astorica dei servizi è abbastanza evidente che vengono meno alcune riflessioni sulle tendenze del futuro. 

Quella più evidente è la timidezza sul tema delle politiche dell’abitare che come rilevato peraltro da molti Comuni nelle loro osservazioni, non tiene pienamente conto del quadro di profonda emergenza abitativa che incrocia diversi esigenze, dall’abitare studentesco all’edilizia popolare, dalla povertà all’espulsione dal mercato dell’affitto di larghe fasce di popolazione, o all’aumento spropositato dei canoni anche per famiglia che non sono a bassissimo reddito, Manca una azione strutturale su questo aspetto.

C’è molta difficoltà a ragionare su modelli innovativi welfare di comunità, soprattutto per quanto riguarda sia dei giovani generazioni che per quanto riguarda il tema delle solitudini, trattato finora in maniera molto marginale. E rimane inevaso gran parte del ragionamento sulla non autosufficienza che per la regione con maggiore presenza di anziani le cui tendenze demografiche ci porta porteranno ad un aumento esponenziale delle funzioni di cure  e di assistenza, dovrebbero rappresentare uno dei focus principali. In una fase, si aggiunga. in cui le prime norme e i decreti attuativi della normativa nazionale sulla non autosufficienza danno una lettura minimalistica di quelle che potrebbero essere gli interventi 

Ecco noi oggi non siamo chiamati a discutere solo la bontà delle delle proposte di quanto c’è scritto in teoria, ma siamo chiamati a dare un giudizio politico sul fatto che questo piano sia in grado di mantenere ciò che promette e sia in grado di delineare una strada di coesione e rilancio sociale e nonostante l’iter sia stato più ordinato e non abbia sicuramente avuto le tensioni del piano socio sanitario e su alcune cose ci sia stata una interlocuzione, non possiamo non evidenziare come per come è costruito per il contesto in cui realizzato l’ambito in cui si muove per la carenza nazionale e regionale di risorse questa questo documento rischi già dall’inizio di risultare purtroppo insufficiente rispetto agli ambizioni che si pone.

Non per un pre-giudizio politico da parte nostra ma perché mancano e rischiano di mancare sempre di più gli strumenti economici organizzativi e politici perché ve me ne sia data una piena attuazione, perché nessuna riforma, nessun piano può essere fatto a costo zero e non può essere realizzato senza elementi strutturali di investimento e solamente con un trasferimento di risorse. 

In una fase strategica come quella che viviamo sicuramente il minimalismo del welfare non è una la strada migliore: anche se atteso ormai è come necessario documento di programmazione per utilizzare i fondi comunitari destinati ci si aspettava qualcosa di più dopo 10 anni di attesa che non un compito quasi normativo, burocratico di messa d’ordine di un sistema che ha già nell’esperienza delle reti nell’esperienza con progettazione della coprogrammazione e delle politiche nazionali una un consolidamento molto forte in cui spazi della Regione sono sicuramente se si vuole utili e interessanti ma se non si vuole molto limitati e di mera attuazione, come purtroppo appare in questo documento.

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